Le invisibili vestali delle paghe diventano film

Da mauriziotorchio.

Dieci delle mitiche tote in un cortometraggio di 52 minuti che è stato realizzato dal direttore dell’Archivio Fiat

Invisibili tote (signorine), efficienti, asessuate, timide, sottomesse. Una implacabile falange di amazzoni inchiodate otto-nove-dieci ore alla Comptometer (una calcolatrice manuale metallica e rumorosa) a macinare migliaia di stipendi. Perfetti, vergati a mano con una calligrafia che lunghi esercizi seral-notturni aveva reso identica nel tempo e nelle generazioni. Quelle mani di ragazza agili sui tasti e sicure nella penna hanno prodotto negli anni milioni di striscioline di carta che con cadenza mensile o settimanale sono arrivate ai dipendenti Fiat. Ora l’epopea di quelle signorine – spesso votate a rimanere tali per la carenza assoluta di tempo per galeotti incontri – e’ stata immortalata e trasmessa ai posteri dal film realizzato dal giovane e brillante direttore dell’Archivio Fiat, Maurizio Torchio, che sara’ proiettato domani pomeriggio al cinema Massimo nell’ambito di Cinemambiente 2003 nel corso del quale sara’ anche proposta la rassegna «La celluloide e l’acciaio, immagine del CineFiat 1909-2003». Il film in 52 minuti raccoglie dieci testimonianze di altrettante tote – anche se alcune sono sfuggite al destino segnato per approdare a nozze e maternita’ malviste dalla direttrice, la allora mitica tota Piola – e le consegna all’oggi come un reperto prezioso di un tipo di organizzazione del lavoro – e di un modo di vivere – scomparso e per alcuni tratti incredibile. Il titolo «Votate agli stipendi Fiat» riprende una battuta di una tota ragazzina tra gli Anni Cinquanta e Sessanta e che questo di se stessa e delle sue colleghe di allora pensava: votate a quel lavoro. E anche un po’ isolate perche’ quelle inesauribili lavoratrici erano le depositarie di segreti preziosi: quanto ciascun lavoratore guadagnava. E per questo non scendevano in mensa, ma consumavano frugali e veloci pasti alla scrivania, dovevano rendere conto delle conversazioni intrattenute con le colleghe per strada e sul tram. Indossavano, almeno fino al ’67, un grembiule nero o blu con collettino bianco, erano riservate, parlavano se interrogate, non potevano ricevere telefonate in ufficio, saltavano le feste comandate per chiudere gli stipendi, provenivano per lo piu’ da ambienti parrocchiali, reclutate spesso ancora con le calzine bianche corte. Come sintetizza Torchio, «quel reparto di corso Marconi era un collegio dell’Ottocento nel bel mezzo del Novecento taylorista» dove aleggiava la religione del lavoro. Tote erano, ma non le potentissime tote che gradino dopo gradino avevano scalato la gerarchia fino a insediarsi in uffici chiave come il bilancio o le relazioni esterne; erano tote anonime che, come ricorda ancora il direttore dell’Archivio Fiat, «erano invisibili, escluse dalla alleanza tra maschi dirigenti e maschi operai». E infatti si ritenevano – oltreche’ aliene da qualsiasi rapporto con il sindacato – anche «improduttive» perche’ allora nella grande, potente fabbrica di automobili i produttivi erano solo quelli che le auto le producevano materialmente; gli altri, pur essendo il 20 per cento della forza lavoro, erano solo una sovrastruttura.


Marina Cassi, La Stampa Torino, 19.10.2003


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